C'è grossa crisi

Ieri, Eurostat, l’istituto europeo di statistiche, ha pubblicato un’altra serie di numeri da brivido. Scrivendo nero su bianco, in un bollettino ad hoc, che:
A marzo 2009, l’indice delle vendite al dettaglio, rispetto a un anno prima, è sceso del 4,2% nella zona euro e del 3,1% nell’Europa a 27
Cifre, come ha osservato l’agenzia di stampa americana Bloomberg, che sono le peggiori mai registrate da quando questo indice dei consumi esiste (cioè dal 2000). E quindi e in pratica: un record. Un record, ma non una novità.
A febbraio, infatti, le vendite (in negozi e quant’altro) erano già calate di un 4%. Meno che a marzo. Ma sempre abbastanza per stracciare tutti i record negativi precedenti. Numeri, questi, completamente ignorati dalla stampa titolata italiota. E che, invece, avrebbero meritato un po’ più di attenzione. Perchè se in una società basata sul consumismo, i consumi scendono, c’è qualcosa che non torna. E perchè questi "segni meno" non preannunciano nulla di buono.

Secondo Eurostat, gli europei stanno davvero tirando la cinghia. E tagliando tutto il tagliabile (tanto è vero che il calo delle vendite di cibo, bevande e sigarette è stato addirittura del 5,2% in zona euro; e del 3,7% nell’Europa a 27). La domanda, ovviamente, è: perchè tanta difficoltà a mettere le mani al portafoglio anche per le piccole spese? E la risposta - con tutta probabilità - sta in un altro report vergato dall’ufficio europeo delle statistiche, pubblicato lo scorso 30 aprile, che diceva che:
A marzo 2008, il numero dei disoccupati, rispetto ad un anno prima, è aumentato di 4,061 milioni di unità nell’Europa a 27 e di 2,816 milioni in area euro
La disoccupazione nel Vecchio continente non sta facendo boom. Ma un vero e proprio super-boom.

Sempre a marzo 2008 e sempre secondo Eurostat: il numero di disoccupati europei ha sfondato la barriera dei 20 milioni. E solo nell’ultimo mese (da febbraio a marzo): i posti persi sono stati 626mila nell’Europa a 27 e 419mila in zona euro.

Se le persone perdono il posto (o hanno paura di perderlo), spendono meno. E non certo per il gusto di risparmiare. Ma per causa di forza maggiore.
Causa di forza maggiore - la disoccupazione - che ora rischia di causare guai ben peggiori. Sotto forma di "saldi" - cioè e per così dire di "svendite" - fuori stagione.
E infatti e sempre a marzo: in Spagna e Gran Bretagna - a furia di "offerte speciali" e visto che nessuno comprava un tubo - i prezzi hanno preso, anche se di poco, a scendere.
Una notizia - pure questa oscurata dai media italioti - che non è cattiva.
E’ proprio pessima.
Perchè significa che questi due Paesi si trovano sull’orlo di una spirale piuttosto pericolosa. Per colpa di uno dei circoli viziosi della nostra economia dei consumi: se i cittadini diventano "pessimisti" (perchè perdono il posto o temono di perderlo), non spendono; ma se non spendono, i prezzi scendono; se i prezzi scendono, i profitti calano; se i profitti calano, le aziende licenziano; e i licenziati spenderanno ancora meno. E così via. Questo fenomeno si chiama deflazione.
E per la cronaca si è letteralmente scatenato durante la Grande depressione del 1929.
Portando l’economia americana al tracollo.
Fin qui la teoria. La pratica è che la deflazione - cioè l’inflazione negativa - a marzo ha già colpito, tra gli altri, gli Stati Uniti (dove i prezzi sono scesi dell’1,1%), il Giappone (-0,1%) e appunto Spagna (-0,1%) e Regno Unito (-0,4%).
Numeri che, sommati a quelli su disoccupazione e consumi, descrivono un vero e proprio crollo verticale.

Verso il baratro, ma con ottimismo.

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